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20 Maggio 2022

SCHEMI OTTICI

SCHEMI OTTICI

da Paolo Gomez / sabato, 22 Gennaio 2022 / Pubblicato il Alta Fotografia, Il blog, Per non dimenticare

In Memoria di Francesco

Questo articolo fa parte di quelli di alta fotografia sono, come da indice, già pronti sempre fatti da Francesco, del resto sono articoli che furono pubblicati sulla rivista Fotografare. Ho  dovuto, però, impaginarlo, spero di averlo fatto nel modo più vicino possibile al suo. Tutti gli altri saranno pubblicati con la stessa cadenza che usava lui, i due Sarchiaponi non si fermano… Ciao Francesco. 

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SCHEMI OTTICI

come ancora oggi la scelta dell’ottica influenza il mercato ed i generi fotografici

La nostra fotocamera digitale la possiamo schematizzare in modo molto semplificato, tralasciando quindi tutti gli altri dispositivi che ne permettono il corretto uso, in due blocchi funzionali fondamentali: il sensore di acquisizione delle immagini (che permette di trasformare la scena in un segnale elettrico) e l’obiettivo (che adatta la scena reale alla dimensione fisica del sensore).

Attualmente gli obiettivi, che devono concentrare la luce sul piano focale con le aberrazioni minori, sono costruiti utilizzando:

  • Lenti di vetro – spesso vengono raggruppate in gruppi.
  • Specchi (catadiottrici) – sono formati da vari specchi secondo lo schema del telescopio di Cassegrain. Non presentano aberrazione cromatica e sono compatti ma privi di diaframma e poco luminosi.
  • Misti rispetto alle due tecnologie precedentemente dette.

Analizziamo solo il primo tipo di ottiche facendo un po di storia sulla loro nascita e sviluppo. Il primo dispositivo che utilizza i principi dell’ottica geometrica è la camera obscura che i pittori usavano per tracciare con un carboncino le linee essenziali di un paesaggio. Se pratichiamo un piccolo foro (stenopeico) su una parete della scatola sul piano opposto si viene a formare l’immagine capovolta. Per avere un’immagine nitida il foro deve essere molto piccolo, ed in questo modo l’immagine risulta incisiva ed a fuoco, ma passa pochissima luce.

1 – Il pittore si introduceva nella camera obscura per riprodurre con precisione i contorni di un paesaggio.

Nella metà del 1500 il matematico Gerolamo Cardano sostituì al foro una lente biconvessa. In pratica ne ingrandiva la dimensione, permettendo il passaggio di una quantità di luce maggiore, al contrario però bisognava calcolare con molta cura la distanza tra il foro ed il piano focale. Se la scena è posizionata all’infinito o se è in una posizione più vicina dovremo cambiare la messa a fuoco (la distanza tra la lente ed il piano focale). Per questo motivo la camera obscura viene realizzata con un soffietto che permette di variarne la lunghezza, questa soluzione è ancora oggi utilizzata nelle fotocamere a banco ottico. La qualità delle immagini nel caso della singola lente di Cardano risente di varie aberrazioni. Inserendo davanti alla lente un diaframma si migliora la qualità dell’immagine perché si permette il passaggio della luce solo al centro della lente dove le aberrazioni sono minori.

All’inizio del 1800 l’inglese Wollaston sostituì la lente biconvessa con un menisco convergente, una lente concavo-convessa rispetto alla semplice lente di Cardano. Per diminuire le principali aberrazioni il diaframma è stato sistemato dietro la lente. Questa tecnologia è ancora oggi utilizzata nelle lenti macro addizionali montate sulle ottiche.

Per ridurre l’aberrazione cromatica nel 1820 Chevalier progettò il primo vero sistema ottico realizzato incollando una lente positiva in vetro flint ad alto indice di rifrazione con una lente negativa in vetro crown a basso indice di rifrazione. Il sistema risulta caratterizzato da un potere di dispersione uguale e contrario e viene detto doppietto acromatico.

2 – Il doppietto acromatico è formato da una prima lente in vetro di tipo flint ad alto indice di rifrazione con una lente negativa in vetro crown a basso indice di rifrazione incollate tra di loro. In questo modo si ottiene un potere di dispersione uguale e contrario.

Nel 1840 Joseph Petzval realizzò il primo obiettivo basato su calcoli matematici. Quattro lenti con diaframma al centro che garantivano una buona nitidezza in prossimità dell’asse ottico ma scarsa sui bordi. Un obiettivo ideale per il ritratto ma inadatto per il paesaggio.

3 – Lo schema ottico di Petzval è formato da quattro lenti. Questa ottica è buona per i ritratti ma insufficiente per i paesaggi poichè presenta aberrazioni e distorsioni nella zona distante dal centro.

Verso la fine del XIX secolo gli obiettivi divennero schemi complessi dove le lenti potevano essere montate separatamente oppure cementate fra loro. Le lenti unite insieme prendono il nome di “gruppi”. L’espressione “quattro lenti in quattro gruppi” significa che ogni lente è separata dalle altre mentre “quattro lenti in tre gruppi” significa che due di esse sono incollate insieme a formare un gruppo.

Nel 1893 H. D. Taylor ideò e brevettò il “Tripletto di Cooke“ un obiettivo del tutto nuovo. l’idea di partenza era costituita dal doppietto acromatico di Chevalier che realizza una somma di Petzval uguale a zero. Separando le due lenti, il sistema acquista un potere positivo. In questo caso viene spezzato l’elemento positivo, sistemandolo ai lati estremi dell’elemento negativo, con il diaframma in mezzo. Lo schema, fortemente asimmetrico, consente una buona correzione delle aberrazioni extra-assiali ed una riduzione della distorsione. Questo fu utilizzato per realizzare, ad esempio, le ottiche Sonnar di Carl Zeiss.

4 – Il Tripletto di Cooke parte da un doppietto acromatico di Chevalier dove vengono separate le due lenti positive che vengono sistemate ai lati di quella negativa. Lo schema diventa asimmetrico ma riduce le aberrazioni e la distorsione.

Nel 1890 Dallmeyer ideò lo schema a teleobiettivo. Un’ottica il cui fuoco posteriore risultava più corto della lunghezza focale nominale, richiedendo così un tiraggio meno spinto.

Uno dei più celebri schemi simmetrici è senza dubbio il Planar di Carl Zeiss, disegnato da Rudolph nel 1896. Lo schema simmetrico è oggi utilizzato anche dagli obiettivi grandangolari per il grande formato, ad esempio lo Zeiss Biogon.

5 – L’ottica 35 mm di Carl Zeiss, un grandangolare costruito secondo lo schema di tipo Biocon.

Nelle reflex è molto difficile utilizzare schemi di questo genere poiché il fuoco è così corto che lo specchietto mentre si solleva urterebbe contro la montatura dell’obiettivo. I grandangolari per le reflex utilizzano uno schema detto “schema retrofocus” o “teleobiettivo invertito”. In pratica il fuoco posteriore è maggiore della lunghezza focale nominale quel tanto che basta per consentire allo specchietto di sollevarsi durante lo scatto. Lo Zeiss Distagon è un tipico rappresentante di questa famiglia.

Nella letteratura tecnica viene considerato l’obiettivo standard quello che ha come lunghezza focale la distanza approssimata della diagonale del supporto fotosensibile usato. Per questi obiettivi la visione è uguale a quella dell’occhio umano. Per le fotocamere analogiche con la pellicola a 35 mm l’obiettivo “normale” è il 50 mm. Gli obiettivi con focale minore sono detti grandangolari (hanno un angolo di campo da 60° a 80°). Quelli con focale maggiore sono detti teleobiettivi (hanno un angolo di campo da 20° a 5°).Esemplificando l’obiettivo in una unica lente la distanza focale è quella tra la lente e il piano focale, misurata in mm.

6 – Serie di fotografie scattate tutte dal medesimo posto utilizzando una Canon EOS 450D (sensore di formato APS-C e pertanto la focale va moltiplicata per 1.4). Partendo da in alto a sinistra ed in senso orario abbiamo: le prime scattate con un Canon 24-105 mm alle focali estreme. La terza è scattata con un focale Pentax 800 mm ed un anello adattatore per Canon. Nella quarta è stato aggiunto un duplicatore di focale.

Inoltre le ottiche possono essere:

  • Fisse – sono gli obiettivi che non hanno la caratteristica di poter variare la focale. Possiedono le migliori caratteristiche, ad esempio una apertura grande del diaframma, ed inoltre sono più facili da realizzare a parità di prestazioni.
  • Zoom – sono gli obiettivi che possiedo una focale variabile. Sono meccanicamente più complessi e normalmente poco luminosi. Le loro caratteristiche principali sono il passaggio da grandangolare a teleobiettivo o il fattore moltiplicativo tra la focale minima e quella massima, ad esempio per il 28-300 questo fattore vale circa 11 e per il 70-200 vale circa 3.

Per poterla visualizzare in modo nitido l’immagine deve essere “messa a fuoco”. Per questa operazione si agisce su dei gruppi di lenti che permettono di posizionare l’obiettivo alla distanza opportuna tra il piano focale e il soggetto. La messa a fuoco può essere di tipo manuale o automatica; nel primo caso è fatta direttamente dal fotografo mentre nel secondo si utilizza un motore posto all’interno dell’obiettivo stesso.

Se vogliamo acquistare un’ottica aggiuntiva dovremo tener conto di vari fattori:

  • le fotocamere a telemetro e quelle mirrorless hanno un tiraggio (la distanza tra la superficie del sensore di acquisizione e il meccanismo di attacco per le ottiche intercambiabili) minore con la conseguenza che esse sono più facili da costruire di quelle per le reflex, ovviamente a parità di prestazioni.

  • Per le mirrorless gli zoom hanno raggiunto una escursione focale di 60x (Panasonic Lumix DMC-FZ70); mentre per le reflex abbiamo un 16,7x con l’obiettivo Nikon 18-300. Stiamo ovviamente parlando di una escursione ottica degli zoom e non di una escursione digitale i cui risultati sono spesso di scarsa qualità.

  • Le ottiche fisse sono di costruzione più semplice di quelle zoom.

  • Le ottiche di tipo grandangolare sono quelle che presentano i maggiori problemi costruttivi.

7- La fotocamera mirrorless Panasonic Lumix DMC-FZ70 possiede un sensore da 11mm CMOS (6.17×4.55mm) e monta un’ottica Leica DC Vario-Elmar f2.8-5.9 con uno zoom ottico 3.58-215mm (che è equivalente per una reflex 35 mm ad uno zoom 20-1200mm). Nelle miniature vediamo come si “allunga” lo zoom alla massima focale.

Con l’avvento della simulazione al computer le possibilità di progettazione sono molto aumentate. Gli obiettivi attuali riescono a raggiungere prestazioni che un tempo erano impensabili. Le case costruttrici delle ottiche utilizzano ancora i modelli precedentemente detti, che ovviamente sono diventati tecnologicamente a volte molto più complessi. Come aspetto pratico notiamo che le ottiche Nikkor puntano molto sui teleobiettivi e quindi sulla fotografia sportiva o sul reportage da grandi distanze.

Tra le ottiche fisse troviamo ad esempio: il Canon EF 800mm f/5.6L IS USM è formato da 18 lenti in 14 gruppi. il Canon TS-E 17mm f/4L è formato da 18 lenti in 12 gruppi; Il AF-S NIKKOR 800mm f/5.6E FL ED VR è formato da 20 lenti in 13 gruppi;

Tra le ottiche zoom: il Canon EF 70-200mm f/2.8L IS II USM è formato da 23 lenti in 19 gruppi. Il AF-S DX NIKKOR 18-300mm f/3.5-5.6G ED VR è formato da 19 lenti in 14 gruppi. Il Nikkor 1200-1700mm f/5.6-8P IF-ED (lungo 888 mm) è formato da 18 lenti in 13 gruppi.

8- Il teleobiettivo della Canon EF 70-200 mm F2.8 L IS II USM utilizza lo schema in figura con 23 lenti in 19 gruppi. Si possono notare il gruppo di lenti che realizza la messa a fuoco (la lunghezza esterna non cambia) e il tipo di lenti utilizzate.

Ovviamente un aumento delle prestazioni della nostra ottica necessita di una spesa adeguata.

 

FRANCESCO.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista FOTOGRAFARE n° 11 (Novembre) del 2017 nella rubrica di ALTA FOTOGRAFIA.

P.S. Visto il tempo trascorso dalla pubblicazione va precisato che l’impianto tecnico dell’articolo è sempre valido ma risulteranno poco attendibili le eventuali ricerche di mercato o le scansioni temporali dei prodotti fotografici citati nel medesimo.

 

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